Lettera congiunta di Caritas e Trama di Terre sul diritto alla casa
La casa è un diritto. Ma quali sono le politiche che lo rendono effettivo?
Oggi più che mai, in un contesto territoriale in cui la povertà sta crescendo e le difficoltà per raggiungere un reddito autonomo sono sempre maggiori, ribadiamo che la casa è un diritto inalienabile.
Purtroppo nella realtà non è così. Siamo sempre più spettatrici e spettatori di sfratti e sgomberi, mentre l’occupazione abusiva rimane l’estrema soluzione da parte di una cittadinanza che non sempre ha rappresentanza e riconoscimento.
Molto difficilmente si trovano privati disponibili ad affittare immobili alle famiglie monoreddito. Dagli stranieri si esigono garanzie che normalmente non sono chieste agli italiani. Sulle donne che subiscono un abbandono economico e familiare queste discriminazioni pesano doppiamente, perché tendono ad essere soggette a contratti di lavoro più precari e faticano a conciliare la vita lavorativa con la gestione di figli e figlie a carico.
Gli sgomberi, pur legalmente leciti, sono un atto di violenza istituzionale che non offre soluzione ai bisogni delle persone che si trovano in un momento di marginalizzazione o di perdita del reddito.
Quello che stiamo scontando oggi è il frutto di anni di assenza di politiche abitative lungimiranti. Perché la politica non prende posizione e non interviene affinché il diritto alla casa venga rispettato? Perché tollera solo “soluzioni tampone”?
Ci interroghiamo anche sulla qualità degli interventi sociali che a volte seguono uno sgombero. Non siamo d’accordo sulla logica che consiste nello spezzare nuclei familiari (sistemare cioè temporaneamente madre con bambine/i e lasciare che il padre si arrangi) perché questo significa, proprio nel momento di massima vulnerabilità, privare le persone anche di quelle relazioni affettive che molte volte sono l’unica ricchezza di cui ancora si dispone. È difficile comprenderne il motivo tanto più che spesso accade il contrario: cioè che in situazioni di famiglie disgregate, con figli e figlie che hanno assistito a violenza domestica, si impongono incontri con il padre in nome di un’astratta unità familiare.
Qual è il costo, economico oltre che sociale, di queste politiche? Che cosa ci guadagna la collettività se i costi di un collocamento in struttura di donne e minori sono ben più alti di quelli che si avrebbero facilitando l’accesso a un nuovo alloggio autonomo? Perché non è possibile investire risorse per promuovere politiche abitative che annullerebbero gran parte delle spese emergenziali che sfratti e sgomberi producono sulla spesa pubblica?
Chiediamo che la rete dei servizi costruisca davvero un processo integrato di risposte ai bisogni abitativi della collettività e che in questo sviluppo siano sempre più partecipi anche le Associazioni che da anni lavorano su questo territorio, le quali conoscono le complessità del problema e si trovano ad accogliere le persone che non trovano aiuto nei percorsi sociali istituzionali.
Caritas diocesana Imola e Trama di Terre
Imola, 26 agosto 2016